Teorie fortiNella Scuola, molti approcci didattici (e non) si basano su teorie forti: procedendo deduttivamente, propongono cioè strumenti e strategie che seguono i principi della logica formale.

Nonostante la nostra cultura ci abbia abituato a considerare le scienze formali superiori rispetto a quelle empiriche, non sempre la logica ci concede opportunità; a volte, piuttosto, ci priva di prospettive che potrebbero essere utili per ottenere i risultati che desideriamo (raggiungere obiettivi e/o risolvere problemi).

Scrivo questo articolo dopo aver fatto una piacevole chiacchierata con Massimo, uno degli Sperimentatori Selezionati che da anni segue le proposte di MetaDidattica: durante la nostra conversazione ci siamo confrontati sull’articolo che ho scritto la settimana scorsa. Dal suo punto di vista, uno dei pregi di MetaDidattica è quello di occuparsi di divulgazione applicativa: più che voler proporre teorie di riferimento, l’intento è quello di presentare proposte operative da sperimentare per migliorare la vita a Scuola.

Da acuto osservatore filosofo qual è, Massimo ha colto uno degli aspetti epistemologici più significativi del modello strategico e quindi di gran parte del lavoro svolto da MetaDidattica negli ultimi anni (da quando ho iniziato ad approfondire l’operato del prof. Giorgio Nardone): le strategie proposte non si basano necessariamente sulla logica ordinaria, bensì su “mosse” anche contro-intuitive che riescono a condurci fino al risultato sperato.

Per rendere l’idea su quanto appena detto, possiamo utilizzare l’emblematico esempio del giocatore di scacchi che, per portare avanti la sua strategia (e quindi vincere la partita) prevede anche la possibilità di farsi mangiare qualche pezzo: mosse apparentemente dannose, che riescono però a costruire la vittoria.

Allo stesso modo, quando vogliamo raggiungere un obiettivo e/o risolvere un problema, non sempre procedere nella maniera più “logica” possibile ci garantisce un risultato: volendo andare da A a B, la prima cosa che spontaneamente facciamo è chiederci cosa dovrei fare per raggiungere il risultato sperato? Finché siamo di fronte a dinamiche che rispondono al principio di causa-effetto, la domanda può aiutarci a trovare una risposta funzionale. Ma quando i giochi si complicano, quando cioè è coinvolta una circolarità di cause ed effetti, partire da una teoria spesso ci costringe a seguire schemi prestabiliti, sovente disfunzionali.

Urge un esempio pratico: se voglio causare una reazione chimica (fenomeno che segue le logiche lineari di causa-effetto), potrò ragionevolmente basarmi su una teoria di riferimento per ottenere i risultati che desidero.

Se invece il mio intento è migliorare la relazione con un Collega o persuadere un Ragazzo a modificare il suo approccio allo studio (entrambe situazioni che coinvolgono una causalità circolare e non lineare), partire da teorie forti non sempre mi aiuterà ad ottenere ciò che mi auguro: erroneamente, potrei cercare di parlare di più con il Collega, magari offrendogli un caffè; oppure potrei affannarmi a spiegare al mio Studente le ragionevoli motivazioni per le quali gli consiglio di cambiare approccio.

Entrambe queste strategie potrebbero non portare ad alcun risultato o, addirittura, generare un peggioramento delle condizioni iniziali: il Collega potrebbe ad esempio vivere con insofferenza i miei tentativi di “avvicinamento” e l’Alunno sentirsi squalificato nel suo impegno.

Se X allora Y: dove X è la causa ed Y l’effetto. Abbiamo detto che una reazione chimica o un fenomeno fisico rispettano questa logica; una circostanza che prevede il coinvolgimento di una o più persone no (o almeno non necessariamente). Ostinarsi a voler utilizzare un cacciavite a stella anche su una vite a taglio, produrrà il più delle volte effetti disastrosi.

Se comprendo le cause di una reazione chimica, potrò prevederne e riuscire a controllarne gli effetti (capire il problema per trovare una soluzione). (Credendo di) comprendere le cause di un problema relazionale/comportamentale/scolastico/… non mi porterà alla sua soluzione, anzi!

Giorgio Nardone riassume questo importante cambio di paradigma con un aforisma ricco di implicazioni e sul quale soffermarsi a riflettere: “Possiamo dire di conoscere un problema solo mediante la sua soluzione”.

Condividi l'articolo sui social

Ti potrebbe interessare…

Lascia un commento

  1. Teresa 9 Luglio 2018 at 12:00 - Reply

    Buongiorno Alberto,
    grazie per lo spunto di riflessione che anche oggi ci offri.
    Per me conoscere il modello strategico del prof. Nardone attraverso Metadidattica è stato un po’ come sentirsi a casa dopo aver trovato rifugi di fortuna durante un temporale.
    In effetti, soprattutto nella scuola, la pluralità di relazioni che si instaurano per la soluzione di anche un singolo problema, sono molteplici.
    Penso per esempio a questo ultimo anno scolastico in cui ho ricoperto l’incarico di responsabile di plesso, in cui mi sono trovata spesso a dover risolvere situazioni mediando tra posizioni diverse. Sarebbe stato facile applicare regole e modalità di comportamento da A a B, ma ciò avrebbe comportato lo sgretolarsi o la compromissione di una serie di altre relazioni con il dirigente, i colleghi, i genitori o la segreteria. Attuare invece strategie “strategiche” mi ha consentito, nella maggior parte dei casi, di portare a casa buoni risultati. Metadidattica in tutto ciò ha avuto il grande merito di avermi aperto ad una nuova modalità di pensiero e soprattutto di AZIONE. Ho imparato ad utilizzare in alcuni momenti strade più lunghe, modalità di persuasione e di comunicazione maggiormente aderenti alla situazione e alle persone implicate nella vicenda facendomi a volte sembrare agli occhi degli altri forse un po’ fuori luogo o poco aderente al momento ma “solcando il mare all’insaputa del cielo” mi ha portato ad approdare in porti sicuri anche con acque tempestose.
    Buona domenica