Ancora con questo timone? Beh Alberto, secondo me stai esagerando un po’…

Forse hai ragione, ma in queste prossime righe ho proprio voglia di parlarti del mio punto di vista sulla respons-abilità. Quello che mi spinge, quindi, a fare qualcosa per prendere in seria considerazione la mia ormai famosa fetta di responsabilità.

Ti dico subito una cosa: assumerci la respons-abilità di quello che ci accade intorno è impegnativo! Lo è perché a volte è più “confortevole” trascorrere del tempo a valutare come “gli altri” avrebbero potuto fare diversamente: in questo modo non siamo noi a doverci tirare su le maniche, a mettere in discussione i nostri atteggiamenti… effettivamente lì per lì, sul momento, la situazione è più “agevole” se fossero (solo) gli altri a dover ristrutturare il proprio modo di fare/pensare/comunicare/ecc.

Cosa accade però nel lungo periodo?

Avere davanti agli occhi tutti gli accorgimenti che “gli altri” non stanno mettendo in pratica (e che, diciamocela tutta, probabilmente continueranno a non tenere in considerazione) ci rende schiavi.

Mi rendo conto che la parola schiavo per qualcuno può suonare esagerata in un contesto simile, ma facciamoci qualche domanda: quanto siamo protagonisti del cambiamento di qualcun altro? Siamo davvero sicuri che gli altri abbiano la nostra stessa motivazione che le cose cambino? Se pure gli altri dovessero impegnarsi per cambiare, siamo sicuri che il cambiamento che produrranno andrà proprio nella direzione che riteniamo più funzionale?

Insomma, a me sembra che approcciare le cose in questo modo rischia di non farci andare molto lontano… e se poi noi ci impegnassimo a far cambiare gli altri? Ti rispondo con un’altra domanda: come ti senti e come reagisci quando ti accorgi che qualcuno vuole cambiarti?

Il rischio, nel voler cambiare qualcuno, è che quest’ultimo si “allontani”, irrigidendosi ancora di più… nel lungo termine, quindi, cominceremmo ad avvertire una sensazione di frustrazione: ci stiamo impegnando e le cose non solo non migliorano, ma rischiano anche di peggiorare (proprio perché vogliamo cambiare gli altri)!

Dopo un po’ la frustrazione rischia di tramutarsi in impotenza appresa: una sorta di convinzione comincia a serpreggiare subdolamente nelle nostre teste, facendoci credere che “di fronte a questo genere di cose non ci posso proprio fare niente” oppure “alla fine lo vedi, è sempre la solita storia: mi sembra di vagare in un deserto dove l’unico davvero interessato a che le cose cambino sono io” o ancora “con certa gente è meglio non averci a che fare… il problema è che a lavoro (o anche altrove) sono circondato da persone del genere” per finire con “siamo arrivati al punto di non ritorno: l’unica soluzione sembra essere la rivoluzione!”.

Nota come, nelle frasi che hai appena letto, non ci sia un briciolo di nostra responsabilità…

Adesso ti chiedo: “che ne pensi?”

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  1. Maria Ausilia Chiaramonte 14 Maggio 2012 at 20:22 - Reply

    Ciao Alberto, credo che il senso di responsabilità a breve termine,affinchè abbia effetti positivi sul lungo termine, implichi che alla base ci sia comunque rispetto tra le persone o attori del sistema. E quando manca rispetto verso l’altrui dignità personale e professionale tutto rischia di andare in fumo. Ho analizzato meglio che ho potuto a 360° tutta la situazione assurda che si è venuta a creare quest’anno nel mio ambiente lavorativo, ho parlato con molte persone all’interno di esso per cercare-trovare punti d’incontro,dai genitori dell’alunno al personale ATA al dirigente scolastico, dai colleghi al personale educativo e infine agli esperti dell’Unità Multidisciplinare. Alla fine quasi nessuno mi è venuto incontro e chi ha rischiato d’andarci di mezzo è stato l’alunno diversamente abile diagnosticato con livello grave di autismo ed epilessia al quale, grazie a Dio e non so come ci sono riuscita, ho rivolto tutte le attenzioni necessarie, amorevolmente, continuando a svolgere con lui, nel migliore dei modi, il lavoro prefissato. Il risultato è stato che ne è scaturito un rapporto di fiducia inaspettata da parte sua nei miei confronti con bellissimi sorrisi sia in classe che in generale nell’ambiente scolastico, che quando gli parlo nonostante non possa parlare, ascolta e risponde positivamente con atteggiamenti mimico-gestuali. Per quanto riguarda l’ambiente circostante, da un recente colloquio con il dirigente scolastico, ho avuto la conferma che c’è un gruppo di persone con nomi e cognomi che cercano continuamente di mettermi in difficoltà e di denigrare qualsiasi attività didattica io metta in atto perchè secondo loro dovrei “lavorare di meno” ed essere meno impulsiva. Ho risposto al dirigente, a seguito di una lettera che lui ha ricevuto dal mio avvocato di fiducia, che ciascuno di noi ha pregi e difetti e che per quanto mi riguarda sto cercando di “smussare i miei angoli acuti” con enormi sforzi, ma lo sto facendo, e che che questa situazione ha la tendenza a prendere la piega dell’inquisizione a tutti i costi nei miei confronti senza motivo. Buon lavoro Alberto

  2. Alberto De Panfilis 16 Maggio 2012 at 13:14 - Reply

    Ciao Maria, ti ringrazio per il tuo commento e per gli spunti di riflessione che hai regalato a me e a tutti i lettori del sito!

    Parto con il farti i complimenti per gli ottimi risultati che hai raggiunto con l’alunno diversamente abile che ti è stato affidato: tu dici di “non sapere come ci sei riuscita”… io credo che alla base del tuo bellissimo risultato ci siano la tua passione e i tuoi valori, dai quali non puoi/vuoi prescindere, nonostante intorno l’ambiente non ti aiuti, anzi!

    Riferendomi al fatto che dovrebbe esserci “rispetto” tra le persone e gli attori del sistema, diciamo che “sfondi una porta aperta… anzi, un portone spalancato!”. Sono convinto che, per funzionare, un rapporto debba basarsi sul rispetto reciproco: proprio per questo ho scelto di non alimentare la logica del “aspetto che cominci l’altro a comportarsi in un’altra maniera, poi comincerò anch’io… finora mi sono impegnato soltanto io, adesso basta!”. Come faccio (o almeno come credo di farlo)? Per le relazioni che vivo personalmente, mi impegno a fare in modo che il focus sia il più possibile rivolto a quello che IO posso fare per migliorare la relazione (senza diventare “fessi” o senza ritrovarsi con le “fette di prosciutto davanti agli occhi”; la consapevolezza di quello che desideriamo e di quello che abbiamo attorno è importante). Nelle occasioni in cui, soprattutto per lavoro, qualcuno mi chiede “consigli” o suggerimenti, quello che faccio è, sì riconoscere che anche l’altro potrebbe impegnarsi un bel po’ per migliorare le cose (RICALCO), ma soprattutto portare la persona a comprendere quello che potrebbe fare LEI per stimolare un cambiamento nella relazione (GUIDA).

    Non riesco a dirti qualcosa di più dettagliato riguardo la situazione specifica che ti coinvolge: dovrei parlarne a voce con te, in modo da supportarti in qualche scelta strategicamente utile e funzionale. Se ti interessa un approccio del genere, mandami pure una mail (info@metadidattica.com).

    Buona giornata, Maria!