di Alberto De Panfilis
Quanto ci piace capire.
È quasi un riflesso automatico: quando qualcosa non funziona — in classe, con un collega, con un genitore — la nostra prima reazione è cercare di capire perché.
Perché quello studente ha smesso di impegnarsi?
Perché la relazione con quella famiglia è diventata così complicata?
Perché, nonostante tutto, ci sentiamo sempre sotto pressione?
Nel mondo della scuola, dove tutto cambia continuamente, la tentazione di risalire alla causa profonda è fortissima.
L’intenzione è buona, anzi lodevole.
Ma siamo sicuri che sia anche efficace?
La trappola del “perché”
Nei contesti educativi e relazionali, il “perché” è una trappola gentile.
Ci dà l’illusione di comprendere, ma spesso ci allontana dalla soluzione.
Ecco perché:
- Arbitrarietà delle cause
Quando cerchiamo la radice di un problema, rischiamo di costruire collegamenti arbitrari, basati sul buon senso o sull’esperienza personale.
Preziosi, certo — ma non sempre sufficienti a orientarci in modo oggettivo.
- Effetto boomerang
Una volta individuata una presunta causa (“è svogliato”, “è disorganizzato”, “è colpa della famiglia”), tutte le nostre tentate soluzioni finiranno per muoversi in quella direzione.
E così, paradossalmente, rischiamo di alimentare il problema invece di risolverlo.
In altre parole: quando restiamo bloccati sul perché, spesso finiamo per trarre conclusioni affrettate e muoverci su ipotesi più che su fatti.
Capire è la prima competenza dell’Insegnante Strategico
Per un Insegnante Strategico, “capire” non significa cercare una causa.
Significa imparare a osservare come il problema funziona.
È un cambio di prospettiva fondamentale: dal “perché succede” al “come succede”.
Capire strategicamente vuol dire rivolgere l’attenzione in modo mirato, cogliendo i segnali, i pattern e gli elementi chiave di una situazione.
Non serve conoscere tutto per agire: serve sapere quanto basta — e nel modo giusto.
Dal semplice ascolto al dialogo strategico
Per allenare questa competenza non bastano empatia e buona volontà: servono strumenti specifici.
Uno di questi è il Dialogo Strategico, sviluppato dal Professor Giorgio Nardone ad Arezzo, e applicato da anni nel contesto educativo anche nei percorsi MetaDidattica.
Si tratta di un metodo comunicativo che ti permette di:
- Guidare la conversazione verso ciò che è utile e rilevante;
- Decodificare concetti astratti come “è peggiorato”, “è distratto”, “non è motivato”, trasformandoli in informazioni concrete e osservabili;
- Porre domande orientanti, ad “illusione di alternativa”, che evitano fraintendimenti e conducono l’interlocutore a fornire dati precisi.
👉 Ad esempio: invece di chiedere “Cosa intende per peggiorato?” — che può risultare irritante — potremmo chiedere:
“Il peggioramento l’ha notato solo nelle attività scolastiche o anche in altri ambiti?”
È una domanda semplice, ma cambia tutto: porta chiarezza, senza creare difesa.
Capire quanto basta per agire meglio
Quando impariamo a capire quanto basta, liberiamo energie.
Smontiamo i giudizi, riduciamo la confusione e cominciamo a vedere i problemi per ciò che sono: sistemi che funzionano in un certo modo, e che possono cambiare se impariamo a cambiare il nostro modo di intervenire.
Questo vale per un alunno demotivato, per una riunione tesa, o per una collaborazione che non decolla.
La chiave non è scavare all’infinito nel “perché”, ma osservare come le cose accadono — e scegliere il punto giusto da cui iniziare.
Vuoi allenare la tua capacità di “capire strategicamente”?
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Non dobbiamo sapere tutto per agire.
A volte, capire solo quanto basta — e nel modo giusto — è la chiave per sbloccare, sostenere e sviluppare le performance di tutti: nostre e dei nostri studenti.
A presto,
Alberto De Panfilis
Formatore e ideatore di MetaDidattica (dal 2008)







