Quando si tratta il tema della gestione della classe, si fa un gran parlare dei cosiddetti studenti oppositivi: personalmente ritengo un grave errore considerare questa resistenza una caratteristica della persona. Dovremmo invece approcciarla per quello che è, cioè un comportamento.

Fatta questa doverosa premessa, vediamo insieme come riconoscere questa tipologia di resistenza e come intervenire per “disinnescarla”.

Per prima cosa dobbiamo far attenzione a non confondere altri tipi di resistenza con quella oppositiva: proprio perché se ne parla molto, a volte ci riferiamo a comportamenti oppositivi anche quando siamo di fronte a situazioni differenti.

Possiamo parlare di oppositività quando i nostri interlocutori (non soltanto uno Studente, ma anche un Collega, un Genitore, il vicino di casa, ecc.) squalificano le nostre proposte.

È possibile che questo accada in molti modi: uno Studente potrebbe per esempio rifiutare il nostro invito a sedersi, lamentandosi che il nostro comportamento nei suoi confronti è differente rispetto a quello riservato ai suoi compagni di Classe; oppure qualcuno potrebbe rifiutarsi di seguire un’esercitazione, sminuendola e asserendo che non servirà a granché; un Collega potrebbe screditare una nostra proposta durante una riunione, arrivando addirittura a denigrarla.

Un altro modo in cui può manifestarsi la resistenza di tipo oppositivo ha a che fare con l’uso degli avversativi per introdurre dubbi, perplessità, critiche (più o meno costruttive) e precisazioni. Non dobbiamo infatti considerare questa resistenza come qualcosa di negativo: chiunque, di fronte ad un cambiamento, manifesta resistenze; qualcuno lo fa nel modo che stiamo descrivendo e che potrebbe non risultare particolarmente gradevole. Il mettere i puntini sulle “i”, ad esempio, può rappresentare un caso piuttosto comune.

ATTENZIONE: se uno Studente al quale più volte avete chiesto di comportarsi in un certo modo, continua a presentare una condotta “scorretta”, non è detto che stia manifestando un’opposizione. Potremmo invece trovarci di fronte ad una resistenza di tipo vorrei ma non posso: tutta un’altra dinamica! In quest’ultimo caso non siamo di fronte a qualcuno che “fa le pulci” alla nostra proposta, ma ad una persona che non riesce a seguire le nostre indicazioni.

Un ultimo metodo, decisamente poco ortodosso, che possiamo utilizzare per riconoscere una resistenza oppositiva è notare quali sensazioni genera in noi: la maggior parte delle volte proviamo fastidio.

Detto questo, passo a parlarti della tecnica del DOPPIO LEGAME: di base è molto semplice, ma richiede comunque qualche accortezza. Consiste nel chiedere al nostro interlocutore di fare quello che vorremmo non facesse più.

Lo so, sembra cervellotica la questione, ma può riservarci delle belle sorprese. In sostanza siamo di fronte ad una persona che si comporta in modo che a noi non piace; chiedendole di continuare a farlo possono accadere due cose:

  1. accetta la nostra richiesta e continua a comportarsi in quel modo;
  2. rifiuta, guidata dalla sua resistenza di tipo oppositivo, rifiutandosi di continuare.

In entrambi i casi abbiamo vinto (per questo “doppio legame”): nel primo, nonostante il comportamento stesso non cesserà, siamo riusciti ad ottenere collaborazione. Siamo riusciti cioè a ribaltare le dinamiche relazionali: dapprima il nostro interlocutore “decideva” in autonomia di comportarsi in quel modo, adesso inizia a farlo perché gliel’abbiamo chiesto noi!

Nel secondo caso, rifiutandosi di collaborare, smetterà di presentare proprio quel comportamento che pativamo come “scorretto”.

Arrivati a questo punto dobbiamo assicurarci che la nostra mossa non suoni come una provocazione: per riuscirci ci aiuterà prenderci cura di un paio di dettagli.

Per prima cosa è opportuno procedere a quattr’occhi: utilizzare la tecnica del doppio legame con un Ragazzo in aula davanti a tutti i suoi compagni (o con un Collega durante una riunione), potrebbe renderla meno efficace, a causa della pressione sociale che molto probabilmente scaturirebbe.

In secondo luogo è importante far sì che il comportamento originario venga in qualche modo valorizzato: se ad esempio il comportamento che voglio far cessare è il continuo intervenire senza aver prima alzato la mano, non posso dire: “Mario, continua pure a darmi fastidio, mi raccomando!”. Dovrò invece valorizzare il comportamento originario, individuando un aspetto positivo di quella condotta: “Mario, ho notato con piacere la tua voglia di intervenire e partecipare. Ti chiedo di continuare a dire quello che pensi, in modo da arricchire la lezione dei tuoi punti di vista e, magari, invogliare anche qualche tuo compagno a farlo. Grazie!”.

Ricorda di sottolineare il fatto che, se la persona seguirà la tua richiesta, questo ti aiuterà, ti converrà, in sostanza rappresenterà per te un vantaggio. Quest’ultimo passaggio ci permette di aumentare l’efficacia della tecnica.

Nel caso in cui dovessi avere qualche dubbio sull’applicazione (o l’applicabilità) di questa tecnica, ti prego di farmelo sapere con un commento: il tuo contributo mi aiuterà a trasformare questo articolo in un  interessante dialogo utile per i lettori di MetaDidattica.

P.S.: e se quest’ultima esortazione fosse un doppio legame? 😉

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  1. Stefania Carrapa 13 Maggio 2018 at 8:50 - Reply

    Avrei bisogno di una certificazione per i corsi che seguo per la scuola si può avere?

  2. Alberto DP 16 Maggio 2018 at 14:06 - Reply

    Stefania, a quali corsi fai riferimento? Scrivici un’email all’indirizzo info@metadidattica.com così potremo darti una mano!