Capita ogni tanto di uscire dalla classe dopo due ore di lezione con la sensazione che sia accaduto qualcosa di magico; ecco, è quello che mi è capitato la settimana scorsa in una lezione di storia nella mia classe di II media. Cento minuti di ascolto, attenzione, partecipazione, dialogo, accordo, scelte condivise: cento minuti da augurare a qualsiasi insegnante, cento minuti che mi dicono sì, il mio è proprio un lavoro meraviglioso. 

Scopri cosa è accaduto alla prof.ssa Claudia Paternoster…

Non so a voi, ma a me capita raramente; sono più le volte in cui vivo disattenzione, contraddizione, fatica, frustrazione, quando il meccanismo si inceppa ed è faticoso farlo ripartire.

Ieri invece le due ore di storia sono volate, fluide e ricchissime. 

Dopo l’euforia del momento, però, mi sono chiesta cosa sia accaduto di tanto straordinario da rendere quella lezione così efficace, rispetto alle altre lezioni; riflettendoci bene, non è stato niente di eclatante, nessuna mastodontica preparazione né particolari effetti speciali, ma tante piccole pratiche che, messe insieme, hanno dato questo risultato. 

Provo ad elencarle, con la consapevolezza che pure un po’ di magia e un pizzico di fortuna fanno la loro parte.

  • Specificità degli obiettivi: ho iniziato la lezione spiegando dettagliatamente quello che avremmo fatto in quei cento minuti, definendo anche i tempi di durata di ogni parte.
  • Diversificazione e alternanza: nei cento minuti abbiamo inserito un’interrogazione, una spiegazione frontale, un dialogo con i ragazzi fatto di domande e di risposte reciproche, un video, una pausa con una canzone scelta da loro.
  • Condivisione delle scelte: con l’aiuto di domande ad illusione di alternativa, i ragazzi hanno scelto cosa fare sia per il momento di pausa che per la parte finale della lezione, parlandone anche tra loro per ottenere un maggior vantaggio dalla scelta fatta. Gli accordi presi hanno permesso di gestire meglio i tempi e di farli sentire più responsabili nel rispettarli.
  • Domande: l’interrogazione (a sei ragazzi) si è svolta non come un interrogatorio, ma come un dialogo tra loro. Le domande erano il più possibile aperte e la risposta poteva venire da tutti, ed ognuno poteva integrare la discussione con ciò che sapeva. 
  • Messaggio “io”: dopo l’interrogazione, ho detto loro come mi sentivo. Ero entusiasta della loro prestazione, e il messaggio personale si è rivolto agli aspetti positivi: “quando siete in grado di… io mi sento…”. Devo dire che durante l’anno ho utilizzato varie volte il “messaggio io” in contesti negativi, ma in questo caso, sull’onda dell’entusiasmo, è uscito spontaneamente il bisogno di comunicare loro quanto ero soddisfatta di ciò che avevano saputo raccontare.
  • Dimostrazione del consenso: durante la spiegazione frontale, ho ripetuto le cose dette da loro nell’interrogazione, facendo anche i nomi: “come ci ha detto Matteo prima, durante gli Stati Generali era accaduto che…”, così da ricalcare i loro interventi, valorizzandoli.

Forse è stato solo un felice incrocio di più elementi che si sono combinati positivamente in quei 100 minuti, ma sicuramente un’applicazione costante e quotidiana di tanti piccoli accorgimenti, come semi sparsi lungo il cammino, porta a momenti inaspettati come questo, in cui non si sente nemmeno la fatica e dove prevale la bellezza e la magia del nostro lavoro.

Auguro a tutti 100 di questi minuti!

Claudia Paternoster

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  1. Giuliano Brunelli 8 Maggio 2017 at 15:42 - Reply

    Cento minuti di puro e sano coinvolgimento … perlomeno io ho vissuto questa sensazione nel leggere l’articolo. Il video lo vedrò appena possibile.
    Vorrei chiedere a Claudia un approfondimento sul “Messaggio io”. Se ho ben afferrato durante l’anno il suo “io” è stato rivolto ai ragazzi con fare negativo (o perlomeno non positivo) e in questa occasione è stato il contrario. Esatto?
    Mi ha attratto più il concetto del “noi” che si vive negli altri item e mi incuriosisce molto la gestione dell’interrogazione. Molto stimolante l’idea di educare i ragazzi ad un confronto aperto, protetto e diretto specie oggi che la società li porta a vivere (e a volte a nascondersi) dietro un telefono o un tablet.
    Condivido l’importanza della valorizzazione degli interventi. I ragazzi più si sentono considerati più sicuramente daranno il meglio ai loro insegnanti e nella vita.

    Complimenti Claudia

    Grazie Alberto

  2. Eleonora 15 Novembre 2020 at 18:50 - Reply

    Grazie mille,prof. ssa Claudia! C’è sempre bisogno di testimonianze incoraggianti e positive