[Continua dall’articolo precedente…] L’appuntamento fisso con le nostre psico-pause è quindi continuato con il gioco delle “influenze”, in seguito soprannominato “…se tu ti muovi, io mi muovo..”; sempre in giardino, partendo da una posizione in cerchio, abbiamo chiesto loro di scegliere a mente due compagni, dai quali avrebbero dovuto tenere un’equidistanza, fino a quando il gruppo non si fosse fermato, nel più assoluto silenzio…

Anche in questo caso, quando sembrava che l’equilibrio si fosse stabilizzato, bastava un piccolo ed impercettibile passo che tutto il gruppo immancabilmente ricominciava la sua ricerca di equilibrio, muovendosi e rimuovendosi, fino al nuovo equilibrio.

Ovviamente, a fine gioco, quando abbiamo chiesto conferma delle scelte che ognuno aveva fatto, sapevamo quali preferenze o esclusioni ci sarebbero state. Si è creato un piccolo sociogramma, un po’ a modo del metodo di Moreno, ma interattivo e tridimensionale. Noi insegnanti ne abbiamo tenuto conto, senza comunicarlo agli alunni, per lavorare poi in classe sulle esclusioni che c’erano state. Abbiamo quindi approntato delle attività che includessero maggiormente gli alunni esclusi dalle scelte.

Quindi, questo semplice ma efficace gioco, ha avuto doppia utilità: da un lato ha permesso a noi insegnanti di vedere con chiarezza le dinamiche sociali del gruppo sulle quali lavorare, dall’altro ha fatto percepire agli alunni quanto a volte basti anche un semplice sbadiglio per cambiare l’equilibrio di un sistema. Una specie di “effetto butterfly“ scolastico.

Potentissima la ricaduta in classe; la comprensione da cognitiva a percettiva è stata immediata; una cosa è dire ad un alunno mentre si fa lezione “stai fermo”, altra cosa invece è quando sono i compagni che gli dicono: “Luca, eh… se tu ti muovi…”: bellissimo, Luca sorride, sta fermo ed attento…

Niente rimproveri, sguardi severi e soprattutto niente distrazioni ad effetto contagioso!

Premetto che gestire le dinamiche complesse di un gruppo mentre si svolge la lezione frontale in classe è un grosso lavoro. Naturalmente influiscono sulla buona riuscita un insieme intrecciato di componenti che non andrò ad elencare. Ciò che più ci interessava era il poter far “sentire“ davvero e “far vedere” in modo inequivocabile e non interpretabile ciò che noi insegnanti richiamavamo continuamente in classe, facendo appello ad una comprensione cognitiva di un problema. Le psico-pause consentono di passare invece per il canale percettivo che nei bambini è più aperto (mi permetto di aggiungere che nella mia esperienza questo vale anche per gli adulti, a volte).

A questo punto i nostri alunni erano pronti ad un nuovo “salto”! Abbiamo cambiato la disposizione dei banchi: la psico-geografia dell’aula poteva ormai riflettere quanto stava maturando in loro… potevamo permetterci banchi separati e singoli, molto più funzionali e comodi, perché la loro responsabilità personale verso la scuola diventava sempre più forte.

Questo ovviamente non escludeva il continuare a collaborare e lavorare insieme.

Un altro ed ultimo gioco che andrò a presentare (ce ne sono stati altri), che è piaciuto ed che ha avuto un richiamo nelle attività dell’anno successivo, è stato il gioco delle “resistenze”.

Questo gioco è stato preso in prestito dalle arti marziali. Spesso capita che i bambini entrino in conflitto verbale e raramente fisico, opponendo tra loro forze uguali. Questo può valere per la scelta di un gioco da fare a ricreazione, per la scelta del posto in cui sedersi a mensa o comunque in tutte le situazioni in cui vogliano a tutti i costi far valere una loro scelta o preferenza. 

Dirimere questi piccoli conflitti è arduo, ognuno porta delle motivazioni, anche valide, e spesso finisce che l’insegnante, obtorto collo, debba fare una scelta alternativa che scontenta tutti. Diverso è invece quando gli alunni riescono a capire che l’arte del cedere sia più funzionale al raggiungimento dell’obiettivo che si sono prefissati.

Perciò io e la collega, simulando (come abbiamo sempre fatto negli altri giochi) una situazione di conflitto, abbiamo fatto poi vedere qualcosa di diverso: una di fronte all’altra, opponendo in maniera inversa (invece che diretta) le nostre forze, l’equilibrio si poteva mantenere; cambiando la direzione di queste forze, ovvero cedendo, alla fine si riusciva a vincere. Gli alunni hanno sperimentato quanto sia faticosa ed inutile l’opposizione ad oltranza!

Ricaduta in classe: la scelta dei giochi ed altre attività è diventata via via più pacifica e “democratica”!

Finisce “in gloria” la quarta elementare!

Grande soddisfazione per i risultati ottenuti sia didattici che comportamentali. 

I miglioramenti ottenuti si sono espressi nelle aree della socialità, dell’attenzione, della responsabilità e della vigilanza sui propri ed altrui comportamenti; tanto altro ancora che sicuramente porterà i suoi frutti con il tempo.

Grazie a questa nuova traiettoria, guidata dalle strategie sopra descritte, il nostro gruppo classe è diventato un meraviglioso team di alunni che ha raggiunto ottimi risultati didattici e concluso una mole di progetti musicali, teatrali, culinari e tanto altro ancora!

Sulla spinta dell’anno precedente e l’entusiasmo derivante condiviso con le colleghe delle altre classi, e inoltre grazie alle nuove lezioni di MetaDidattica, abbiamo deciso di affrontare la quinta elementare con un mega-progetto sulle Emozioni.

Di questo progetto sapete già tutto e non mi dilungherò troppo, voglio solo puntualizzare alcuni aspetti salienti e le aree di miglioramento che si sono espresse in corso d’opera.

Le modalità che abbiamo imparato nell’anno precedente (ascolto, responsabilità ed altro) le abbiamo riprese e migliorate anche alla luce dell’aspetto emotivo-relazionale che ancora non era stato affrontato in maniera specifica e dettagliata, ben sapendo che era l’ultimo anno di scuola elementare e li avrebbe aspettati la scuola media. Quindi, un mondo del tutto nuovo: i compagni (tra loro qualche “bullo”?), i professori, le aule, i ritmi, i compiti a casa e, non ultimo, la crescita fisiologica… io e la collega volevamo dare agli alunni strumenti semplici, che potessero essergli utili nell’anno a seguire.

Lavorando sulle emozioni avrebbero certamente aumentato la loro resilienza nel nuovo ciclo scolastico.

Abbiamo lavorato quindi su viarie aree, quali: i feedback, l’importanza di distinguere tra una informazione ed una sensazione, tra una azione ed una reazione, sul fatto che le emozioni non siamo noi, ma semplicemente qualcosa che sentiamo, su come affrontare la valutazione in modo sereno.

La modalità di presentazione delle attività ha seguito sempre uno schema concordato con le colleghe delle altre classi: brain-storming iniziale, lettura di un racconto che riguardasse l’emozione e che ci riportava su un binario più sicuro, attività di riepilogo sul quaderno, studio interattivo della mimica facciale e della CNV in generale che riportava le osservazioni sull’emozione e tanto altro ancora.

Nell’emozione della gioia abbiamo inserito il gioco del “car wash”: in giardino, disposti su due file frontali, gli alunni a turno facevano un complimento al bambino che vi passava in mezzo; quindi ogni alunno ha avuto la sua “lavata” fatta di complimenti, apprezzamenti e coccole dei compagni. Ha avuto un grosso successo; sinceramente ci ha anche stupite perché spesso in corso d’anno, in momenti un po’ tesi, i bambini lo richiedevano con forza.

L’emozione che ci ha impegnato di più è stata certamente quella della rabbia.

Abbiamo sviscerato in tanti modi questa emozione ma, come nell’anno precedente, la maniera più veloce per far sentire ai bambini cosa provocava è stata andare in giardino e fare il gioco “questo posto è mio“.

Il gioco consiste nel farsi cedere la panchina da un compagno che comodamente vi è seduto sopra. L’altro, per convincerlo, può far ricorso a tutte le strategie verbali che vuole, ma in nessun modo può alzare le mani o forzare fisicamente il compagno che vi è seduto sopra.

Sono emerse in modo inequivocabile, diretto ed osservabile senza possibilità di fraintendimenti, le dinamiche che c’erano anche fra i banchi. La ripresa è stata fatta poi vedere in classe: messi alle strette, alcuni hanno potuto osservare ciò che negano, ovvero quanto siano reattivi (anziché attivi) in certe situazioni.

Questa attività ci ha aperto la strada per fargli capire quale differenza ci sia quando si racconta qualcosa (anche di se stessi) tra una sensazione ed una informazione: questo grazie alle videoregistrazioni.

Per semplificare questo aspetto racconterò un episodio davvero saliente e che ha rappresentato per noi una cartina tornasole di quanto fatto fino ad allora.

Dopo un pomeriggio trascorso con una guida turistica che ci aveva accompagnato durante un viaggio d’istruzione, la mattina successiva ho trovato fuori scuola i genitori furibondi che non volevano fare entrare i figli previo accertamento che almeno una di noi insegnanti titolari fosse presente in classe. Calmai gli animi perché ognuno dava versioni diverse e confuse: mi riferirono che detta guida era stata “cattivissima” e “terribile” con tutti i bambini; inoltre aveva insultato tutti, dando addirittura del “ciccione” (testuali parole) ad uno Studente. Non espressi alcun parere o soluzione, semplicemente entrai a scuola determinata a capire cosa fosse realmente successo.

Una volta in classe, con il dialogo strategico (chi, cosa, dove, quando, ecc.) e insistendo sulle informazioni più che sulle sensazioni che ognuno riportava, invitavo i bambini a farmi vedere il “film” di quanto successo. Mentre si snodava la situazione loro stessi si rendevano conto che il “tutti” in realtà erano solo tre; che nella dinamica di un dialogo, analizzando il “contesto “ di una parola detta, in realtà quella parola non era poi così offensiva, e che soprattutto la parola “ciccione” espressamente non era mai stata pronunciata, bensì risultava una interpretazione di un contesto comunicativo dei bambini stessi.

Insomma avevano “messo in prigione un innocente”. Stupore e afflizione generale quando si sono resi conto della loro responsabilità nel fraintendimento e della gravità nelle conseguenze che questo potesse avere. Mettere in bocca agli altri parole espressamente non dette può avere gravi conseguenze (vedi i genitori infuriati che volevano le testa della guida!).

Gli altri due alunni che erano stati “offesi” con osservazioni effettivamente superflue e fuori luogo hanno permesso di far emergere la capacità di resilienza dei due bambini che hanno “incassato”, pur restando delusi, ma senza reagire alle provocazioni della guida. All’uscita di scuola ho fatto capire ai genitori la natura del fatto ed anch’essi si sono meravigliati e scusati per l’enorme equivoco che i loro figli avevano provocato.

Questo episodio, accaduto a fine anno, sarebbe potuto diventare “un caso”, ma grazie alle tecniche del dialogo si è ridotto notevolmente nelle sue conseguenze. Più di tutti ha fatto sperimentare in modo diretto ai bambini le dinamiche dei feedback che una persona sconosciuta ci può dare (alle scuole medie tutti i professori saranno all’inizio degli sconosciuti) e come noi possiamo utilizzare il modello S.A.G.R.A.: estremamente utile e funzionale per la propria crescita.

Questa stessa dinamica si può presentare nei casi di “bullismo” che abbiamo affrontato nell’emozione della paura. Il tema del bullismo è sempre presente nelle scuole ed i bambini della scuola elementare identificano la scuola media con questo fenomeno, temendola moltissimo per questo. In realtà, e loro non ne sono pienamente consapevoli, il bullismo non si esprime solo nelle scuole medie dove evidentemente è più “ fisico”, ma si esprime anche alle scuole elementari e per farglielo capire abbiamo come sempre “giocato” in giardino.

Abbiamo presentato il gioco della Mela a metà.

Dopo aver vissuto l’esperienza descritta nel link precedente, i visi dei bambini, le loro espressioni, gli sguardi che si scambiavano ci hanno confermato che in un attimo avevano capito cos’è il bullismo e che conseguenze può avere sulle persone.

Finalmente chi si sentiva come la mela ammaccata ha potuto esprimerlo liberamente ai compagni citando episodi specifici, che nessuno ha smentito. Per questi piccoli è stato un sollievo ed una liberazione poterne parlare ed i loro compagni hanno capito quanto le parole, che a volte si pronunciano con superficialità, possano in realtà fare male come coltelli.

Chiudo questa breve relazione, perché potrei continuare a scrivere per molte pagine.

Spero di aver reso partecipe a sufficienza come gli strumenti appresi con FYM e MetaDidattica siano utili e pervasivi nell’azione didattica, ma non solo. Personalmente posso dire che utilizzarli vuol dire provarli in prima persona, che richiedono un utilizzo continuo e flessibile e sento che hanno cambiato il mio modo di insegnare, di dialogare, di agire con tutto ciò che attiene al mondo della scuola, ma soprattutto nell’area privata, per la quale potrei scrivere altre mille pagine.

Vi ringrazio quindi per avermi permesso, con le vostre attività ed insegnamenti, di arricchire il mio bagaglio professionale, di avermi insegnato tante tecniche e strategie che mi hanno permesso di rimettere ordine anche nella vita privata, di avermi fatto provare ed “esperienziare” come a volte le cose possano diventare davvero semplici!

Margherita Vittoria Gratton

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